Roma, 11 novembre 2025 — In Italia le donne che lavorano nei campi guadagnano in media 1.800 euro lordi in meno all’anno rispetto ai colleghi uomini. Un dato che non cambia al variare dell’età, della cittadinanza, del titolo di studio o del territorio. È quanto emerge dal nuovo quaderno “(Dis)uguali” dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, presentato a Roma, che analizza le disuguaglianze e le forme di pluri-sfruttamento femminile nel settore agricolo.
Secondo i dati illustrati da Annalisa Giordano, ricercatrice Istat, il reddito medio annuo delle lavoratrici agricole si ferma a 5.400 euro lordi, contro i 7.200 dei loro colleghi maschi. Una forbice salariale che fotografa non solo un’ingiustizia sociale, ma anche una fragilità strutturale del sistema agricolo italiano, ancora segnato da modelli produttivi poco inclusivi e da una scarsa valorizzazione delle competenze femminili.
Un terzo della forza lavoro, ma ancora invisibili
Le donne rappresentano circa un terzo dei lavoratori dipendenti contrattualizzati in agricoltura — circa 300mila unità — ma, secondo le stime di ActionAid, potrebbero essere molte di più. Il lavoro sommerso e le occupazioni irregolari fanno salire il numero delle braccianti straniere senza contratto tra le 51mila e le 57mila unità.
Flai Cgil denuncia come molte lavoratrici siano relegate in mansioni specifiche e meno retribuite, spesso costrette a conciliare il lavoro nei campi con il carico familiare e, nei casi più gravi, vittime di ricatti sessuali o abusi di potere.
Il lato oscuro delle filiere: tra ghetti e precarietà
Il problema non è solo economico, ma anche abitativo e sociale. Nei cosiddetti “ghetti” rurali — insediamenti informali che costellano diverse aree agricole del Paese — vivono anche molte donne: secondo un’indagine di Cittalia per Anci e Ministero del Lavoro, in 4 ghetti su 10 è stata rilevata la presenza femminile, con 1.868 donne su circa 11mila persone (pari al 17% del totale). In alcuni casi, la percentuale femminile supera addirittura il 50%.
Una questione anche per le imprese
Per il mondo delle imprese agricole, questo divario di genere rappresenta un costo nascosto: minor produttività, difficoltà di ricambio generazionale e perdita di competenze. Come ricordano le associazioni di categoria, investire nella parità salariale e nel lavoro dignitoso non è solo una scelta etica, ma una leva economica strategica.
L’agricoltura italiana è sempre più chiamata a conciliare innovazione, sostenibilità e inclusione. Ignorare il potenziale femminile significa rinunciare a una parte cruciale della forza motrice che potrebbe trainare il settore verso modelli produttivi più moderni e resilienti.
Un’agricoltura più giusta conviene a tutti
Il rapporto della Flai Cgil si chiude con un appello al mondo delle imprese, delle istituzioni e della società civile: riconoscere e tutelare il lavoro delle donne nei campi significa non solo sanare una disuguaglianza storica, ma anche rendere più competitivo un settore fondamentale per l’economia del Paese.
Perché un’agricoltura capace di valorizzare il contributo femminile è un’agricoltura più innovativa, sostenibile e giusta — per chi la lavora e per chi la fa crescere.
11/11/2025







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